Con la parola anglosassone stalking (letteralmente significa "fare la posta", "inseguimento") si è soliti qualificare comportamenti reiterati di tipo persecutorio, realizzati dal soggetto persecutore (stalker) nei confronti della sua vittima.
Si tratta di un insieme di condotte vessatorie, sotto forma di minaccia, molestia, atti lesivi continuati e tali da indurre nella persona che le subisce un disagio psichico e fisico e un ragionevole senso di timore. In genere si parla anche di "sindrome del molestatore assillante", sottolineandone quale aspetto caratterizzante la relazione "forzata" e "controllante" che si stabilisce tra persecutore e vittima; relazione, quest’ultima, che finisce per condizionare il normale svolgimento della vita quotidiana della vittima.
Lo stalking per essere definito tale, deve comprendere una triade di componenti necessarie:
- un attore (stalker) che individua una persona nei confronti della quale agisce la condotta molesta e persecutoria;
- una serie ripetuta di comportamenti con carattere di controllo (pedinamenti, appostamenti, visite a casa o nel luogo di lavoro, minacce o aggressioni) e/o di comunicazione (ad es. telefonate, invio di sms, e-mail, lettere, regali ecc.);
- una vittima (stalking victim) che percepisce soggettivamente come intrusivi e sgraditi i comportamenti agiti dall’attore, avvertendoli con un associato senso di minaccia e di paura.
Lo stalker può essere un conoscente, un collega, un estraneo, oppure, nella maggior parte dei casi (circa il 70% - 80%), un partner o un ex-partner della vittima. In genere agisce, in quest’ultimo contesto, per recuperare il rapporto precedente o vendicarsi per essere stato lasciato. In ogni caso per il molestatore la vittima non è più una "persona", autonoma e dotata di diritti, ma diviene l’"oggetto" su cui investire i propri bisogni di riconoscimento e di attenzione.