La parola "claustrofobia" deriva dal termine latino "claustrum", che significa "luogo chiuso", e dal greco "phóbos", cioè "paura" o "fobia".
La claustrofobia è la paura degli spazi e dei luoghi chiusi e ristretti da cui la fuga sarebbe difficile o impossibile.
Chi soffre di questo disturbo percepisce come una minaccia la restrizione delle possibilità di movimento e viene assalito da una sensazione di angoscia, forte disagio o panico non appena si trova rinchiuso in stanze piccole o senza finestre, ascensori, sotterranei, scanner per la risonanza magnetica, metropolitane, gallerie e molte altre situazioni che creano oppressione e danno l’impressione di essere in trappola.
Come altri disturbi fobici, la claustrofobia è in grado di provocare reazioni fisiologiche, quali tachicardia, aumento della sudorazione, respirazione affannosa, sensazione di mancanza d’aria, nausea, crampi addominali, aumento della diuresi, tensione e dolori muscolari.
La claustrofobia è caratterizzata soprattutto dalla paura del soffocamento. Ciò che il claustrofobico teme è che, nell’ambiente chiuso, non ci sia aria a sufficienza e che quindi possa sopraggiungere la morte per asfissia.
Talvolta la claustrofobia è associata ad altre cosiddette fobie situazionali come il buio, l’altezza, volare in aereo, cioè le persone che temono un certo tipo di stimolo hanno timore anche per altri stimoli dello stesso gruppo.